44° Pellegrinaggio (26 - 27 - 28 - 29 luglio 2007)


Dopo due anni di assenza, ho chiesto l’iscrizione all’annuale manifestazione, organizzata dalle Sezioni ANA di Vallecamonica e di Trento. La partecipazione all’edizione 2007 (dedicata alla memoria di Mons. Enelio Franzoni, cappellano militare alpino nella campagna di Russia e medaglia d’oro al valore militare) è stata un’esperienza bella ed indimenticabile, che provo a descrivere, sperando che qualcuno avrà la pazienza di leggerla.

Giovedì 26 (dal Tonale al Rif. Caduti dell'Adamello) 

La partenza della colonna tre avviene da Valle di Saviore. Saliti in pullman diretto al Passo del Tonale, riceviamo il saluto del presidente della sezione di Vallecamonica, Minelli “ ..ci ritroviamo qui sabato sera, ..vi raccomando tutti vivi e sani”. C’è che ci scherza su “.. nessun problema, eventualmente saremo in grado di recuperarvi” “.. si, ma per domenica vogliamo una cerimonia con i fiocchi!”. Ovviamente siamo tutti più che sereni, abbiamo una scorta di ben sei giovani del soccorso alpino (tre speleologico, tre guardia di finanza); la guida sarà Dario, già conosciuto negli anni precedenti. In totale siamo 42, se conto giusto (due le signore); otto gli alpini veronesi dei gruppi di Avesa, Cavalcaselle e Calmasino. Giunti al Tonale proseguiamo con i mezzi di risalita, in breve siamo ai piedi del Presena; messi i ramponi componiamo le cordate e ci avviamo verso il passo del Maroccaro. Il fiatone arriva presto (mi preoccupo, forse le camminate di preparazione sul Baldo e Carega non sono state sufficienti; sento che gli altri sono nella stessa situazione, forse sarà che risentiamo dei mille metri di quota in più).Raggiunto il passo, la discesa per il Lago Scuro ed il Mandrone, è veloce. Dopo una sosta al rifugio “Città di Trento” ci avviamo verso le Lobbie, raggiunto il ghiaccio ricomponiamo le cordate.
Fatichiamo, ma nessuno vuole la responsabilità di fermare o rallentare la colonna; fortunatamente di tanto in tanto a qualcuno si slaccia un rampone. Finalmente c’è chi chiede brevi soste, così ci riprendiamo; a chi è più in difficoltà viene anche portano lo zaino (siamo accompagnati da ragazzi molto pazienti, con una preparazione eccezionale!). La salita continua. Intravediamo i resti dei baraccamenti, sappiamo che appena sopra c’è il rifugio. Fatica? Sparisce se facciamo il confronto con le sofferenze patite da chi ha passato qui più inverni, oltretutto sotto il fuoco nemico, come documentano gli innumerevoli spezzoni di granate (alcune inesplose).Superiamo quel che resta delle baracche, e giungiamo al rifugio “Caduti dell’Adamello”; si sta organizzando la raccolta dei residuati, tutto viene accuratamente selezionato e catalogato per essere successivamente esposto nei musei del Trentino; non tutti sono d’accordo, alcuni preferirebbero che il materiale restasse in loco. Prendiamo il posto letto, più tardi cena abbondante; a tavola, anche se l’abbiamo passata insieme, sentiamo un bisogno irresistibile di raccontarci reciprocamente la giornata; sorseggiando una grappa, c’è tempo per vedere il filmato “Luce” anni 20, girato all’inaugurazione del rifugio. Poi in branda. Buona la cena e comodo il letto in un ambiente messo in sicurezza e totalmente ristrutturato. Ha contribuito anche l’ANA, con un euro per ogni iscritto; soldi ben investiti! (Ripenso alle passate edizioni, quando si dormiva nelle tende preparate dagli alpini in esercitazione al “campo estivo”, eravamo sistemati in 10 ogni tenda. Ricordo quella volta che ci servirono il rancio sulla neve, arrivando con enormi gamelle, trainate da motoslitte, ..ricordo quando un mattino trovammo 15 cm. di neve fresca sulla tenda, ..ricordo ..meglio abbandonare i ricordi. Non ci sono più i reparti alpini in Valcamonica, ..e di questo passo a breve non ci sarà più nemmeno il ghiacciaio!).

 

Venerdì 27 (da Passo Lobbia alla Val di Fumo)

Sveglia alle 07.00, partenza alle 08.00. Riformiamo le cordate e risaliamo il Pian di Lares, attendiamo in quota i più “arditi” che alzatisi alle 05.00 sono saliti a Cresta Croce. Percorriamo per oltre un’ora il ghiacciaio, poi giù seguendo il fiume Chiese, dalla sorgente al fondovalle; sono più di mille metri di dislivello, però tutti in discesa! 
Dario ci precede individuando il percorso più facile, ci guida passo a passo; nei punti di potenziale pericolo le guide tendono delle corde. Arriviamo al rifugio “Val di Fumo” nel primo pomeriggio; guardiamo il percorso fatto, studiamo il percorso per il giorno seguente; abbiamo il resto della giornata per goderci la montagna. Cena squisita a base di specialità locali, cucinate dai gestori. Anche il vino è buono, ma sappiamo che il giorno seguente sarà impegnativo; al calar del sole tutti in branda. “Il riposo è un diritto, il silenzio è un obbligo”, recita il cartello esposto, la regola è rigorosamente osservata.

Sabato 28 (dalla Val di Fumo alla Val Saviore)

Sveglia alle 04.00, partenza alle 05.00; è buio ed usiamo le torce elettriche; la salita è rapida, arriviamo a Passo Ignaga con largo anticipo sull’orario previsto per la cerimonia. 
Possiamo guardarci intorno; qui le trincee, essendo in pietra, sono rimaste praticamente intatte. Ben presto comincia il frastuono degli elicotteri, che portano autorità civili e militari. Alla messa, officiata da S.E. G.Battista Re ( ..in questo luogo che fino ad ottanta anni fa – veramente sono novanta – divideva l’Italia dall’Austria, e che ora unisce la provincia di Trento a quella di Brescia..) i nostri gagliardetti sventolano issati sui bastoncini telescopici (le aste pesavano e le abbiamo lasciate nelle auto). Per chi ha potuto vedere le riprese in diretta, trasmesse dalle televisioni bresciane, preciso che Dario è l’alpino che tiene il nostro labaro nazionale. 
Finita la cerimonia, cominciamo a scendere, ci accodiamo per il ritorno con le altre colonne. 
Gli elicotteri riprendono il loro lavoro, per riportare le “autorità” a valle. Il sentiero per il Lissone si presenta impegnativo, con tratti attrezzati, ed alcuni passaggi in cresta senza appigli di sorta; il terreno però è stabile e pazientemente attendiamo il nostro momento nelle strettoie. Il cielo si copre, sentiamo alcune gocce di pioggia; non sarebbe un buon posto per bagnarsi, ben presto fortunatamente si ristabilisce. Continua il sali e scendi degli elicotteri; forse non lavorano solo per le “autorità”, deduco che siano in molti quelli che hanno preferito non camminare. Il sentiero resta impervio fino ai pressi del rifugio; siamo arrivati, è fatta! Forse non del tutto, visto che leggiamo “Rifugio Città di Lissone – m. 2020” e che le macchine ci attendono mille metri più sotto, il sole è ancora alto, e poi ora è tutta discesa. 
Riprendiamo il posto letto lasciato giovedì mattina (per evitare una alzataccia in sei ci eravamo presentati già mercoledì sera); dopo la deposizione della Corona ai caduti, ci avviamo a cena; i tricolori non si contano, la frazione di Valle è in festa per noi. Il dormitorio è stato collocato nella scuola; anche qui le regole sono rispettate, ma sono cambiate, e sembrano recitare così: “i chiacchieroni irriducibili non vadano a coricarsi, se prima non cominciano ad alzarsi i fracassoni della sera precedente” (pazienza, del resto a noi veronesi hanno assegnato una stanza tutta nostra, attigua alla palestra).

Domenica 29 (Cerimonia conclusiva)

 

La cerimonia conclusiva si tiene a Cevo di Saviore; è previsto che i pellegrini sfilino in blocco in assetto ed abbigliamento da montagna. (Scusate ma io decido che non ci sto! Svuoto quasi completamente lo zaino, tenendo solo pochi indumenti in pile; bene, mi sembra che siano sufficienti a conservare un aspetto marziale. Sto barando! Il mio senso di colpa scompare appena vedo cosa fanno gli altri). 
Montiamo le aste, e prendiamo posto con gli alfieri in testa al gruppo; siamo venuti qui anche per questo. Il percorso pare sarà lungo (ma è tutto in discesa); qualche applauso, ma la gente è poca, nessuno alle finestre, sembra che non ci sia nessuno, sono un po’ deluso. Capisco poco dopo; all’arrivo vedo che metà abitanti sono già sotto “La croce del Papa” ad attenderci, mentre l’altra metà sta arrivando in coda al corteo. Non mi dilungo a descrivere la cerimonia, certo che il nostro giornale nazionale saprà darle il risalto che merita. Appena finita la manifestazione comincia a piovere a dirotto, arriviamo alle macchine inzuppati (e pensare che per tre giorni avevo tenuto l’ombrello inutilizzato nello zaino). 
Prima di chiudere, tento di dare una qualifica alla lunga escursione in alta montagna, con due risalite oltre i tremila; vedo le note del CAI e decido che una A (alpinistica) se la merita tutta; mi pare abbastanza per degli abituali frequentatori del Baldo e del Carega. Arrivederci Adamello! Arrivederci e grazie alpini camuni! Grazie anche a chi avrà avuto la pazienza di leggere fino a qui. (Angelo Mancini)